Intervista a SIMONE ROVELLINI

Simone Rovellini, 26 anni e una laurea in Media Design presa alla NABA di Milano, di mestiere si occupa di video.

Ha curato il workshop The Video as Seen at the End of the Video Age per la Biennale di Venezia 2008, e lavorato in ogni settore del videomaking, dal cameraman alla post produzione. Sta presentando in questo periodo il suo corto C’est la Vie, piccolo gioco linguistico e visivo divertente e curato. Lavora inoltre come redattore per il sito di informazione cinematografica www.badtaste.it.

 

La tua biografia è criptica, per quanto meravigliosa: “da grande avrebbe voluto impagliare animali, ma quando ha scoperto che prima bisognava ucciderli ha deciso di fare il regista.” Aiutaci a capire: come si passa dalla tassidermia al videomaking? E soprattutto, come si capisce che si vuole diventare registi?

Mettiamola così. Sono un appassionato ma non un fanatico del cinema, ci sono un sacco di cose che amo fare e sono convinto che gli stimoli più interessanti vengano dall’esperienza diretta. Fare video è il modo migliore per condensare insieme tutte le cose che ho in mente. Ad esempio, è un ottimo pretesto per impagliare animali. Ma anche impagliare animali sarebbe un ottimo pretesto per fare un video.

 

 

Cosa hai fatto dopo la laurea è un po’ oscuro: perché non ce lo racconti?

Ho lavorato, sempre a Milano. Per due anni mi sono occupato dei contenuti video della mediafacciata di Piazza Duomo, quel maxischermo che c’era dove ora c’è il Museo del ‘900. Se pensate che fosse brutto magari non posso darvi torto, ma è stata un’esperienza molto utile. Ora lavoro come videomaker e montatore freelance. E scrivo di cinema per il sito badtaste.it. Quello che guadagno lo investo nei miei video..

 

 

Per i tuoi progetti personali che cosa ti stimola? C’è solitamente un gancio narrativo, tecnico, o stilistico che ti attira quando approcci un progetto nuovo?

Sono sempre stato fissato con gli schemi. Avete presente quei bambini che mettono i pastelli in ordine di colore e se ce n’è uno fuori posto rifanno tutto da capo? E anche con i giochi di parole. Bartezzaghi è il mio Kurt Cobain. Quindi sì, attualmente è questo che mi stimola: l’idea di costruire una narrazione partendo da uno schema, di ricavare un senso da una serie di limitazioni formali.

 

 

Diventa evidente quello che intendi guardando, e sopratutto ascoltando, il tuo corto C’est la Vie, in cui ricostruisci la giornata di una ragazza inserendo nella narrazione tutte quelle parole che abbiamo mutuato dalla lingua francese (e di solito non usiamo tutte insieme). Guardandolo ci si mette qualche secondo prima di capire cosa sta succedendo, e l’impatto è di grande effetto. Come ti è venuta l’idea la prima volta e come l’hai fatta evolvere fino al risultato finale?

Beh, per prima cosa devo dire che non ho utilizzato proprio tutte le parole francesi di uso corrente nella lingua italiana. Ne ho ancora altrettante che non ho inserito, quindi in qualche modo il progetto è rimasto irrisolto. A volte penso che dovrei girare un sequel. La storia era nata assolutamente per caso, se non sbaglio mentre ero a lezione. Il passaggio dal testo al corto è stato naturale, quando ho capito che i miei video avrebbero dovuto riflettere le cose che mi piaceva scrivere e non rispondere a una forma prestabilita.

 

 

Lo stile visivo e narrativo di C’est la Vie è altrettanto particolare quanto l’idea, e il paragone con Il favoloso mondo di Ameliè è probabilmente più che voluto. Come mai questa scelta?

Penso sia venuta da sé, perché il corto ruota attorno ai cliché francesi e Amelié è diventato una sorta di emblema di quello che agli stranieri piace della Francia. Credo che buona parte dell’affinità sia dovuta alle musiche, che sono state composte da due ragazzi di Sidney (lunga storia).La Francia comunque è un pretesto: quello che mi interessava, più che raccontare una storia, era costruire un meccanismo che facesse scaturire il senso partendo dall’unione di parole e immagini.

 

 

Di quali figure professionali non puoi fare a meno nella realizzazione di un video? E di quali tecnologie?

Mi piace fare molte cose da solo, pensare ai costumi, ai props, in generale alla produzione. Al tempo stesso è importante collaborare con persone più specializzate. Ad esempio, non sono un patito di tecnologia, e avere a fianco un direttore della fotografia competente è fondamentale. E una brava truccatrice ti può salvare la vita.

 

 

Che ricezione sta avendo C’est la Vie? Ho sentito parlare di Cannes…

Sì, ho presentato il corto il mese scorso a Cannes, nello Short Film Corner. Il mio timore era che gli stranieri non potessero apprezzare in pieno il lavoro per via dei limiti linguistici, ma ho ottenuto anche lì un ottimo riscontro ed è stata un’esperienza utilissima. Per capire davvero quale sarà la ricezione a un livello più ampio dovrò pubblicarlo online, cosa che intendo fare il prima possibile.

 

 

Stai lavorando ad un nuovo progetto? C’est la Vie ha avuto una gestazione piuttosto lunga, a quando la tua prossima creatura?

A fine luglio girerò un nuovo video. Sarà per certi versi simile a C’est la vie, ma più breve e più strano. Ci saranno un sacco di animali, proprio oggi ho trovato un serpente albino. Lo ho pensato come episodio pilota per una serie di corti per il web, e quando sarà finito vorrei cercare dei finanziamenti per realizzare anche gli altri 20 episodi.

 

 
 

 
 

Intervista a cura di Alice Alessandri

 
 
Sabato 29 settembre 2012 @ WOMADE #3
CHIOSTRI di SAN BARNABA
Via San Barnaba 48 – MILANO (P.ta Romana)