Un mix di innocenza e tormento: VERA IRMY

Dal forte spirito viaggiatore, Vera Irmy nasce a Catania nel 1988 per poi trasferirsi in seguito a Milano per studiare Fashion and Textile Design alla NABA. Si spinge successivamente fino a Londra per consolidare i suoi studi e la sua passione presso il London College of Fashion, che le permette di collaborare con Umit Benan.

Se le chiedete però quali sono le città che ha nel cuore, rimarrete sorpresi.

 

 

Ciao Vera! Vera Irmy, pardon… a proposito, com’è nato questo nome?

Ciao a te! È esattamente il mio nome! Anzi sono il mio primo e secondo: sono per metà austriaca – da parte di mamma – e appunto ‘Irmy’ è il diminutivo di ‘Irmengarde’. Ho ereditato entrambi i nomi delle nonne e ne vado molto fiera perché erano entrambe donne straordinarie. Pensa che ormai molti amici mi chiamano Irmy e non più Vera! È un nome che incuriosisce parecchio, tutti se ne innamorano una volta raccontata la storia; per questo motivo ho pensato che dare al mio marchio l’unione dei due mi avrebbe rappresentata alla perfezione e magari portato anche un po’ di fortuna.

 

 

Qual’è la genesi della collezione “Acatalepsy”?

L’acatalessia è la filosofia che sostiene la impossibilità di comprendere la vera natura delle cose. Pensavo fosse un punto d’inizio perfetto per la mia ricerca. Dopo i primi anni a Milano e soprattutto dopo la mia esperienza di sei mesi a Londra (presso il London College of Fashion), ero assolutamente un fiume in piena di esperienze ed emozioni; il mio approccio al design è sempre stato istintivo e questa collezione è il culmine massimo e la conclusione dei miei tre anni di studi e di crescita tra queste città. In particolare volevo che il concept favorisse una sensazione, un mix di innocenza e tormento, rispetto a una particolare struttura degli abiti. Inoltre le parole che ho accostato ai 10 outfit che la compongono sono chiavi di una storia, tappe di una sorta di percorso verso una rinascita: la mia rinascita.

 

 

Associ al tuo lavoro con parole come “esistenzialismo”, “metamoda” e “cultura giovanile ribelle”. Pensi quindi che la moda possa dare spunti di riflessione che vanno oltre il semplice modo di vestire?

Ho sempre dato più importanza al contenuto, piuttosto che alla forma. La moda è molto di più di quello che il business la riduce ad essere. La mia visione della vita è utopica al giorno d’oggi, una passione vera e sincera prima di tutto.

 

 

Com’è stata la tua collaborazione con Umit Benan?

Molto intensa e piena di soddisfazioni! Volevo assolutamente testare le mie abilità nel menswear dopo essermi occupata sempre e solo della donna a scuola, sia a Milano che a Londra. Lavorare fianco a fianco col signor Benan per quasi un anno è stato un onore per me. Un grande designer oltre che un visionario, nonostante la sua giovane età, da cui spero di aver tratto i migliori insegnamenti per me stessa e per la mia carriera futura.

 

 

Qual è la città ideale in cui vivresti? Quella invece in cui lavoreresti?

La città ideale in cui farei l’una o l’altra cosa, credo di non averla ancora trovata. Mi piacerebbe sicuramente vivere la mia vita in Italia, anche se il mio cuore adesso è diviso tra Roma e Parigi.

 

 
Vera Irmy exhibition at WOMADE #7
Sabato 1 Febbraio – Chiostri di San Barnaba (Milano)
 

 
Andrea Tata