Vestirsi per comunicare: THESIGN

Quando si sente parlare dell’assai inflazionato termine “Made in Italy” in un ambito come quello della moda si pensa subito alla sartorialità e ai suoi minuziosi dettagli.

Per fortuna ogni tanto capita anche di venire piacevolmente colpiti da qualche novità interessante: THESIGN è una di queste.

Nato come brand urban/streetwear d’avanguardia, ha come nobile scopo quello di esaltare l’unicità e la personalità delle persone che sceglieranno di indossarlo.

Caratterizzato da tecniche e materiali all’avanguardia, THESIGN è quello che fa la differenza in un outfit.

 

 

Esperto di relazioni internazionali, dj, illustratore, designer… di tutte queste tuoi interessi, perché hai deciso di seguire proprio la strada della moda?

Il percorso che mi ha portato nel mondo della creatività non è stato né lineare né semplice. Il mio approccio alla moda è nato con naturalezza, sperimentando su me stesso delle idee che mi frullavano in testa. Provengo dalla periferia di una cittadina di provincia nel Mezzogiorno – Campobasso per la precisione – e sin da piccolo non accettavo l’idea di apparire uguale ai miei coetanei, quindi mi divertivo ad esibire outfit stravaganti, inusuali, non stereotipati. Terminato il Liceo Scientifico, non aspettai neanche di sapere il voto e partii con due amici per andare a vivere a Londra. L’esperienza si rivelò tanto avventata quanto disastrosa e per questo, dopo una breve permanenza, decisi di tornare in Italia; il tempo per decidere era poco e gli Istituti e le Università dove avrei potuto frequentare un corso di moda troppo costosi. Come se non bastasse non avevo idea di quante sfaccettature e relative figure professionali potessero esserci, né come accedervi. Alla fine il compromesso tra ‘vivere fuori’, ‘famiglia’ e ‘propensioni personali’ fu quello per studiare Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Sapienza di Roma. Iniziai a studiare duramente e i risultati si vedevano, ma bastò il primo anno accademico per farmi capire che quella non era la mia strada. Non mi buttai giù e promisi a me stesso di portare a termine quello che avevo iniziato, per poi sentirmi libero e sereno di scegliere un percorso più adatto a me. Con caparbietà conseguii la tesi in tre anni, dopodiché andai a Milano per visitare tutte le Scuole e Istituti di Moda, per capire quali fossero le varie possibilità tra cui scegliere. Proprio in quell’anno, allo Ied Moda Lab, sarebbe stato inaugurato un nuovo Corso di Studi chiamato “Urbanwear Design”, parallelo a quello tradizionale di “Fashion Design”. Ero ancora ignorante sulla moda, ma ricordo bene i brividi che mi percorsero mentre mi veniva spiegata l’impostazione del corso.
La scelta fu naturale e la rifarei mille volte se ritornassi indietro. Tutte le mie altre sfaccettature sono lati della mia indole, passioni fortissime che negli anni ho coltivato in maniera molto spontanea e che s’incastrano, come in un bellissimo e coloratissimo puzzle, nelle vicende quotidiane della mia vita.

 

 

Qual’è la tua concezione di Urbanwear/Streetwear?

Se mi permetti un gioco di parole, prendendo spunto dalla tua domanda precedente, ti rispondo: io non ho seguito “la strada della moda”, bensì “la moda della strada”. Fino al momento in cui non ho avuto la possibilità di studiare la storia della moda e formarmi anche sotto gli aspetti teorici del costume, non sono mai stato un appassionato del “sistema” inteso come “Haute Couture”, piuttosto che “Prèt-à-Porter”, insomma a quella moda che possiamo definire “alta”. Avendola vissuta in maniera molto personale, l’ho sempre vista come qualcosa alla portata di tutti. Ho avuto la fortuna di poter viaggiare. L’energia che riesco a percepire nelle strade dei posti che visito o in cui vivo è sicuramente l’ispirazione più appagante che possa desiderare. Mi piace stare tra la gente, parlare, condividere, esprimermi e soprattutto ascoltare. Considero il mondo della moda piuttosto finto, patinato e fondato su basi ingiustamente elitarie, mentre la strada è per me sinonimo di autenticità. Questo per me significa Urbanwear: una sintesi del comunicare attraverso i propri abiti, non per apparire, ma solo per essere.

 

 

Fino ad ora hai viaggiato molto, ma c’è un luogo o un’esperienza in particolare che ti ha segnato?

Come dicevo ho avuto la fortuna di viaggiare fin da piccolo con la mia famiglia. Questo mi ha abituato a spostarmi, ad abituarmi al “nuovo”, ad apprezzarlo; allo stesso tempo però questo ha valorizzato e sacralizzato l’amore che provo per casa mia. Viaggiare e spostarmi tanto mi fa sentire vivo. Mi sento arricchito da ogni esperienza che ho fatto, più o meno felice che sia stata. Sicuramente ricorderò per sempre quella di Londra come la più impegnativa. Soprattutto credo che il viaggiare mi abbia segnato in maniera indelebile per due motivi, uno personale e uno professionale: il primo è che esperire la sensazione della lontananza dalla propria casa, dalle proprie radici, il sentirsi “solo e uno” in mezzo a tanti, mi ha fortificato e insegnato ad apprezzare la particolarità di tutte le persone con cui mi rapporto, senza pregiudizi e senza paragoni. La seconda è invece che la forte curiosità che mi contraddistingue, unita al viaggiare, mi ha dato la consapevolezza che una delle caratteristiche dei miei lavori e dei miei progetti parte da una profonda e attenta osservazione. Questo è un allenamento di cui necessito abbastanza spesso e che voglio perfezionare, continuando a viaggiare, viaggiare e viaggiare.

 

THESIGNFESTO ITA

 

Dici che i tuoi lavori dovrebbero essere uno strumento per far esprimere “l’unicità delle persone”. In che modo?

Semplicemente, con naturalezza. Non c’è nessuna ricetta o consiglio. L’unicità delle persone si esprime ognuno a modo suo. È proprio questo il bello! Non mi è mai andata giù la propensione di molti a nascondersi dietro a impalcature estetiche che omologano la massa, piuttosto che farsi vedere per quello che sono o per quello che a loro piace. Ci tengo a sottolineare che per “farsi vedere” non mi riferisco assolutamente alla sola apparenza, anzi, al contrario! Escluse le circostanze in cui naturalmente siamo obbligati a vestire in un certo modo (ad esempio lavori che implicano l’utilizzo obbligatorio di divise/abbigliamento), la mattina dovremmo essere felici di indossare qualcosa. Facciamo tornare l’aspetto ludico di questo momento: basta vestirsi per coprirsi, iniziamo a farlo per comunicare! Ho conosciuto tante persone e il motivo per cui alcune di queste sono poi diventate delle vere amicizie è il fatto di avermi chiesto qualcosa riguardo a come ero vestito. Ecco allora che riscoprirci unici farà tornare a chi è attorno a noi la voglia di conoscerci e, sentendoci espressi e appagati, avremo un animo più sereno e pacifico. Qualcosa che si avvicina alla felicità e anche un piccolo passo per rendere il mondo migliore.

 

THESIGN

 

Come si svolge il tuo personale processo creativo?

Essere creativi, in questo senso, significa essere duttili e sapersi adattare alle esigenze del proprio team. Viaggiando molto ed essendo in fase di start-up, non ho ancora un vero ufficio stile, quindi appunto e archivio materiali, foto, immagini, colori, abbinamenti che colpiscono la mia attenzione nella mia agenda e con la macchina fogtografica, per poi assemblare il tutto con l’aiuto del computer. La base di tutto il mio processo creativo si fonda sull’osservazione, filtrata inevitabilmente dal mio punto di vista e tradotta secondo la mia estetica colorata, divertente e provocatoria. Accumulare materiale visivo mi suggestiona e mi fa sognare ad occhi aperti ed ecco che, pezzo dopo pezzo, vedo costruirsi una collezione che sento mia. Non creo mai pezzi che vengono dal nulla, ma che hanno sempre un forte legame con la realtà. I mondi e le atmosfere che mi hanno ispirato e che hanno sempre caratterizzato THESIGN sono il Workwear, l’abbigliamento militare e l’Activewear; il tutto accomunato da due parole chiave: funzionalità ed ergonomia. Che sia il taglio di un tailleur di una nobile signora inglese o il grembiule di un fornaio della boulangerie parigina sotto casa, ricevo l’input nel suo insieme e dopodiché traduco a parole mie. Infine, prima di passare alla fase di realizzazione pratica in azienda, c’è la parte più divertente e personale, che dà vita e forma a tutta la collezione: disegnare e soprattutto colorare! Quando disegno, immagino i miei figurini come a delle persone vere o a personaggi con pensieri, voglie, sentimenti, debolezze e virtù… un po’ come le persone che mi hanno ispirato… un po’ come tutti noi.

 

 
TheSign exhibition at WOMADE #7
Sabato 1 Febbraio – Chiostri di San Barnaba (Milano)
 

 
Andrea Tata