Ricerca e bisogno: NICOLÒ PARSENZIANI

Un talento polivalente che ha iniziato studiando architettura al Politecnico di Milano, ma che ha poi esteso i suoi orizzonti approfondendo un’altra sua passione: la fotografia. Questo cambio di rotta è risultato essere molto più che un semplice sfizio, portandolo a classificarsi 4° su 27000 partecipanti al Sony World Photography Awards, nella categoria amatoriale. Se questo non fosse sufficiente basti dire che è anche batterista in una band- i Nihil Est – e dal 2010 collabora con diversi magazines.

 
 

 

Da quanto coltivi la tua passione per la fotografia? Da cosa è nata esattamente?

Sono 3 anni che faccio il fotografo come lavoro, principalmente a Milano (anche se stanno arrivando richieste di collaborazione all’estero). La passione vera e propria è nata al liceo artistico ed è maturata alla facoltà di Architettura. Il Sony World Photography Awards mi ha dato autostima e un po’ più di credibilità. Poi la passione si è trasformata in ricerca e bisogno. Ricordo benissimo le mie prime fotografie: avevo 8 anni e dovevo andare in gita al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano. Mio padre mi regalò una macchina usa e getta Kodak 27 pose (24+3) con Flash automatico, semplicissima e arancione; ” devi solo premere qui quando vuoi fare una fotografia, poi quando torni a casa le sviluppiamo “. Ero gasatissimo e mi svegliai prestissimo quella mattina. Piansi molto quando il fotografo Raddrizzani mi mostrò i provini tutti bianchi, perché il mio flash era andato a sbattere contro le pareti vetrate bruciando tutto. Però ricordo che se ne salvarono forse quattro. Vado a cercarle.

 

 

Immagina di essere uno spettatore qualunque delle tue foto: come le definiresti?

É una domanda molto difficile e interessante. Lo spettatore oggettivo è uno che ama criticare. Probabilmente le distruggerei dicendo: “meno Photoshop e più cuore, amico mio”.

 

 

Senti di creare opere più per te stesso o per il prossimo?

Sentirle definire ‘opere’ mi fa uno strano effetto. Io faccio fotografie, magari meglio di come le fai tu, ma neanche così tanto. Sicuramente ho iniziato per me stesso, per il bisogno di vedere qualcosa di concreto e sentirlo mio per una frazione di secondo (1/125 va benissimo), senza avere la pretesa che quello che stavo facendo avesse un grande senso, o delle grandi conoscenze tecniche. Quelle sono arrivate in seguito, insieme ai calletti sull’indice destro.  Al di là dei lavori che mi vengono commissionati, le faccio ancora adesso essenzialmente per me; credo di aver intrapreso, inconsciamente, un percorso di ricerca antropologica personale. Ho capito che non riesco a fare a meno di due elementi primari all’interno dei miei scatti: la figura umana e l’acqua, come fluido primordiale. Fare fotografie è diventato un percorso di autoanalisi, una terapia per conoscere il mio inconscio. Ho creato una sorta di “archivio fotografico personale digitale” dove tengo in ordine cronologico, diviso per anni, tutti i miei scatti (anche quelli che non hanno ragione d’esistere), dal 2004 ad oggi. Lì c’è molto di me.

 

 

Per finire una domanda che esce un po’ dal tuo campo: se ti chiedessi di mettere 3 dischi quali sceglieresti?

Dove li devo mettere questi dischi? Vuoi ballare? Ultimamente sto ascoltando molto “The Vacation” EP di Shlohmo, “With U” di Holy Other e Burial, come il prezzemolo tra i denti (e i Radiohead???).

 

 

Intervista a cura di Andrea Tata
 
 
Sabato 17 Novembre 2012 @ WOMADE #4
CHIOSTRI di SAN BARNABA
Via San Barnaba 48 – MILANO (P.ta Romana)