Un autoritratto terapeutico: SIMONA GIUGGIO

Ricerca ed emotività, organica e materia eterea, fisicità e sensazioni. La poetica artistica di Simona Giuggio è segnata da molteplici aspetti del tutto eterogenei in perfetto equilibrio tra loro: al centro della sua osservazione sta tutto ciò che è umano, rapportato anche e soprattutto all’ambiente esterno che lo circonda.

 

 

Quali aspetti della natura umana cerchi di indagare attraverso i tuoi scatti?

Lavoro relazionandomi con il corpo, osservandolo nelle sue trasformazioni e sfumature, con la volontà di conoscere i molteplici aspetti che esso nasconde/espone, dalla sfera più impercettibile ed eterea della personalità, alla materia fisica e organica di cui è composto. Esploro la superficie, la scalfisco e scavo nelle profondità del suo interno.

 

 

Del corpo ti interessa più la mutazione, il potenziale o la forma?

Non sono interessata alla forma come aspetto fondamentale, o meglio, la forma arriva dopo. Credo che la somma di potenziale e mutazione diano come risultato una forma che esprima una determinata condizione, situazione o stato d’animo. Ho la necessità di scoprire la vera essenza delle cose, rifiuto il concetto di forma ideale ed accolgo sguardi interessati a una lettura più intima.

 

 

Ritieni la fisicità un limite?

La fisicità non è un limite, anzi, senza fisicità l’emotività non potrebbe essere vista. Il corpo è un mezzo che esprime se stesso attraverso il movimento o la staticità, come un linguaggio può fare attraverso le vibrazioni, i significati delle parole e che, allo stesso tempo, rende visibile ciò che non lo è. È proprio attraverso la fisicità che posso esprimere quello che ho dentro. Mi metto a nudo non solo con il corpo, ma anche con la mia sensibilità.

 

 

Come definiresti la tua poetica artistica?

Quasi tutta la mia produzione vive nel rapporto fra il mio sguardo e il mio corpo, spesso oggetto e soggetto delle foto. Alla base di ogni azione, di ogni immagine prodotta, di ogni pensiero espresso, non c’è nient’altro che me stessa. È la mia indagine, un autoritratto terapeutico, il mio punto di vista che non è universale. L’immagine che offro può essere evocativa, ma non è quello il fine, non è idealizzata, eroica o caricata di particolari significati, al contrario, la consapevolezza che la mia pelle è fatta della stessa materia dell’universo suggerisce un’immersione della propria immagine nella totalità delle cose. Il corpo è un oggetto, una cosa, che si trasforma in relazione ad altri oggetti-soggetti, contesti, è espressione di trascorsi individuali e sensazioni.

 

 

Molti tuoi lavori sono pervasi da un’ambientazione onirica e misteriosa. Questa scelta è più uno stilismo o è mezzo di qualche significato?

Non è una scelta di stile, non mi interessa cercare ciò che “è bello”. Ricerco gli ambienti in base al tipo di sensazione che voglio esprimere. Credo comunque che questi luoghi rispecchino quelli dell’anima in cui mi trovo. L’ambiente è una scelta quasi obbligata, segue il flusso di un modo di sentire, è un’esaltazione dell’espressione del corpo, che senza quest’ultimo perde di significato. Mi interessa trovare un luogo in cui il corpo può avere un feedback della sensazione provata in quel momento. Ambiente e corpo si attirano o si respingono, l’insieme diventa un modello malleabile, il corpo diventa più vulnerabile, materia sensibile che può influenzare ed essere influenzata da altra materia che lo circonda.

 

 
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Andrea Tata
 
 
Sabato 19 Ottobre 2013 @ WOM #01
c/o Buka – Ex Casa Discografica CGD – Milano